Il 3, 4 e 5 marzo si
svolgeranno, per tutto il Comparto del Pubblico Impiego, le elezioni per il
rinnovo delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU).
Sentiamo e
comprendiamo le ragioni del disagio, nonché il senso di distacco, di disaffezione
e di sfiducia che vivono le lavoratrici ed i lavoratori nel rapporto con le
Rappresentanze Sindacali che,
indipendentemente dai livelli “partecipativi” che si misurano e si
riscontrano ad ogni passaggio elettorale, pensiamo non possono chiaramente essere
elusi, ignorati e rimossi.
Farlo, secondo noi,
significherebbe non tener conto di quella crisi di rappresentanza e
rappresentatività che investe tutto il mondo del lavoro, e non solo, oggi più
che mai soggetto ad un’aggressione in nome di una crisi, di cui non si è
responsabili, che tende a peggiorare e comprimere le condizioni di vita, i
bisogni materiali ed immateriali, oltre che a ledere e cancellare i diritti e la
dignità delle persone.
In questi
anni, sotto il peso della crisi, delle dissennate e aggressive scelte
politiche, economiche e sociali dei vari governi di Centro-destra e di
Centro-sinistra, e delle cosiddette “Larghe Intese”, abbiamo visto e vediamo peggiorare le nostre
condizioni di vita e di lavoro; una realtà divenuta sempre più frammentata
e precarizzata in ogni aspetto della
vita, un mondo del lavoro che assiste e vive un senso di solitudine, di
emarginazione e di smarrimento, anche per l’assenza di un’adeguata forma di
rappresentanza politica, sociale e sindacale in grado di incidere e modificare
i rapporti di forza esistenti.
Ciò ha contribuito e
contribuisce ulteriormente a determinare un clima di passivizzazione, di assenza
di coesione umana e sociale, nonché di divisione nei luoghi di lavoro, ma non
solo, dove sembra essersi smarrito quel senso di appartenenza, quell’essere e
divenire comunità e quel valore e sentimento di solidarietà che sono stati ed hanno
rappresentato nel tempo la forza e la coscienza del Movimento dei Lavoratori.
Riteniamo, malgrado le elezioni per il rinnovo delle
RSU abbiano rappresentato, e tuttora purtroppo rappresentano, per le strutture
e gli apparati sindacali, solo un’occasione per ridefinire o rafforzare
equilibri e rapporti di potere, interni ed esterni, che questo appuntamento
possa divenire, invece, occasione e strumento per riflettere e intervenire
tutte/i insieme, sul senso e la ragione stessa dell’essere e dell’agire sindacale.
Ripensare
questo significa voler adoperarsi direttamente per cercare di promuovere,
ritrovare e realizzare una nuova attiva partecipazione,
per riappropriarci di una ragione, di una cultura e di un’iniziativa capaci di
agire in tutti i luoghi, non solo per
difendere e migliorare le condizioni di vita e di lavoro, azioni comunque
necessarie ed ineludibili, ma anche per rivendicare, riaffermare e tutelare
diritti e la stessa dignità umana e professionale di quelle/i
lavoratrici/lavoratori che, malgrado i molteplici disagi e le profonde
difficoltà, stanno operando in difesa del Bene Pubblico e, per quanto ci
riguarda più da vicino, in difesa di quel Diritto alla Salute sancito dalla
stessa Costituzione ed oggi fortemente minacciato, se non completamente rimesso
in discussione, nel suo principio e Valore Universalistico.
Sempre più
evidente, infatti, sta divenendo l’intreccio di interessi politici, economici e
finanziari che tendono a far sì che quelli che sono stati, e ancora dovrebbero essere,
beni e diritti fondamentali e primari a difesa del sistema di tutele e della
qualità di vita delle persone (sanità, istruzione, casa, trasporti, ecc.) siano
progressivamente definanziati, depotenziati e, di fatto, smantellati, nel
tentativo di trasformarli in merce od occasione per corruttele ed esclusivi
interessi privatistici e di profitto (v. Mutue, Fondi Integrativi,
Assicurazioni private) se non di natura criminale, come emerso anche dalle
cronache legate alle indagini su “Mafia-capitale”, in quell’intreccio e quel legame
melmoso tra affari e politica che ha visto pseudo cooperative, economie locali
e organizzazioni criminali, costruire un sistema di speculazione e sfruttamento,
anche del disagio e del bisogno delle
fasce sociali più deboli.
Ogni
giorno come lavoratrici, lavoratori della sanità e come cittadini/utenti
assistiamo al continuo abbandono, degrado e depotenziamento dei Servizi e delle
Strutture Socio-Sanitarie Pubbliche.
Tutto ciò non fa che
generare un senso di scoramento, avvilimento e disaffezione che deriva, non
solo dal fatto di veder mortificate continuamente competenze, saperi e
professionalità, ma dalla sensazione, forse non ancora divenuta piena coscienza e consapevolezza,
che quanto si sta, di fatto, realizzando
e compiendo, è la definitiva cancellazione di quel Diritto alla Salute inteso,
non come semplice assenza di malattia, ma come Benessere Psico-Fisico della Persona,
in risposta ai bisogni di prevenzione, cura e riabilitazione, così come era
previsto e sancito dalla Legge 833/78.
Riteniamo che le problematiche, le criticità, i disagi
e le difficoltà che quotidianamente ci troviamo a vivere non siano frutto del
caso, ma conseguenza diretta di una serie di fattori che divengono funzionali
al disegno più generale di depotenziamento e smantellamento del Servizio Socio
Sanitario Pubblico, all’interno di un processo di privatizzazione della Sanità,
a tutto vantaggio del sistema privatistico/assicurativo.
Recenti dati Censis hanno
rilevato che, solo nel 2013, la spesa privata per la Sanità è arrivata circa a
27 mld, 3 mld solo per il pagamento dei
ticket (10% in più in due anni). Inoltre, circa 10 milioni di persone
rinunciano alle cure a causa delle difficoltà economiche.
Tutto questo mentre
prosegue il Blocco delle assunzioni e del Turn Over e procede senza sosta
l’utilizzo delle “Esternalizzazioni” e degli appalti con ulteriore aumento dei
costi e precarizzazione, sfruttamento e conseguente dequalificazione delle
attività e dei servizi pubblici.
Solo tra il
2009 e il 2013, inoltre, il personale sanitario si è ridotto del 3,38%
con circa 23.500 operatori in meno; 32mila operatori sanitari italiani (su un
totale di 670mila) hanno contratti precari.
Se si guarda al solo personale infermieristico, in
base agli Standard Europei, in Italia ne mancano almeno 60.000 e di quelli
attualmente in servizio circa 30.000 sono precari (Fonti del Ministero della
Salute) e, questo, mentre con la Legge di stabilità del Governo Renzi verranno
realizzati ulteriori tagli lineari (circa 3mld direttamente dal Fondo Sanitario
e 4mld di tagli alle Regioni, 2 dei quali per la spesa sanitaria) la revisione
dei LEA, che la stessa Corte dei Conti ha recentemente dichiarato a rischio proprio per l’assenza di adeguati e
sufficienti investimenti.
Bastano questi dati per comprendere che quello che
stiamo vivendo è in realtà un vero passaggio epocale che tende a trasferire e a
cancellare definitivamente diritti e a trasformare in “merce” la Salute delle
persone.
Tale
processo, portato avanti nel corso di questi anni, ha determinato ulteriori tagli
dei posti letto, oltre ai 70.000 già tagliati dal 2000, senza che, nel
contempo, venisse realizzata un’effettiva programmazione legata ai bisogni e
alle esigenze di salute della popolazione e, soprattutto, in mancanza di un
potenziamento dei Servizi Socio-Sanitari Territoriali (Assistenza Domiciliare,
Cure Primarie, DSM, Ser.T., TSMREE, Consultori Familiari, ecc.). Ciò avrebbe favorito
i necessari processi e le politiche di deospedalizzazione e di Integrazione
Socio-Sanitaria, arginando così anche i notevoli accessi che si riscontrano
attualmente nei Pronto Soccorso e nei Presidi Ospedalieri stessi e che le tanto
propagandate “Case della Salute” non potranno certamente contenere se, nel contempo,
non verranno affrontate le vere questioni di fondo.
Solo attraverso un’analisi ed una visione d’insieme pensiamo
si possa riuscire a comprendere la
natura e la gravità dei problemi che ogni giorno ci troviamo a dover
affrontare.
Il blocco delle assunzioni
e del turn over sta rendendo sempre più gravoso, non solo garantire livelli
qualitativi e quantitativi di assistenza umani e dignitosi, ma sta comportando
condizioni di insostenibilità ed invecchiamento nella popolazione lavorativa delle
Strutture e dei Servizi Socio-Sanitari Pubblici (in Italia, il Pubblico Impiego
registra l’età media più alta d’Europa – circa 50 anni).
Si dovrebbe tener conto,
quindi, che continuare a sottoporre le lavoratrici e i lavoratori a ritmi
massacranti e disumani, con turni che
arrivano anche a 14/17 ore, soprattutto nei reparti ospedalieri, e con lo
strumento dello straordinario divenuto sempre più, contrariamente alle
normative contrattuali e di legge, elemento di programmazione ed organizzazione
ordinaria del lavoro, mette a rischio la loro stessa salute e sicurezza, nonché
quella dei cittadini-utenti.
Il persistere di tali condizioni rischia di esporre le/gli stesse/i all’aumento
delle malattie professionali nonché a condizioni di “stress lavoro correlato”
che può arrecare danni psico-sociali o fisici ed è tra le cause più comuni di
malattie e si manifesta nel momento in cui le richieste provenienti
dall’ambiente lavorativo eccedono le capacità stesse dell’individuo nel poterle
fronteggiare (Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro).
Per questo riteniamo
vergognoso ed inaccettabile che, ogni qual volta si “scopre” un collasso presso
un qualsiasi Pronto Soccorso, con letti e pazienti costretti a sostare ore o
giorni nelle sale d’attesa o nei
corridoi, si lancino grida e campagne sensazionalistiche che sono solo frutto
dell’ipocrisia di quei manipolatori e venditori di menzogne che, per nascondere
le proprie e le altrui responsabilità, negano e cancellano memoria e,
soprattutto, le vere ragioni di questo stato di cose.
Anche in
tema di politiche di gestione delle Risorse Umane e Professionali abbiamo
assistito nel corso degli anni a comportamenti e provvedimenti arbitrari e
discrezionali (v. mobilità, trasferimenti, collocazioni, ecc.) dettati da
logiche e criteri clientelari, favoritismi o, peggio, da condotte ritorsive,
ricattatorie e vessatorie, lesive non solo dei diritti ma della stessa dignità
umana e professionale delle lavoratrici e dei lavoratori, provvedimenti che nulla
hanno avuto a che fare con le criticità dei servizi e con le esigenze e i
bisogni di salute delle persone.
Questo, in aperto
contrasto, se non in violazione, con le stesse indicazioni e gli orientamenti
espressi nei Piani Operativi regionali che prevedevano la ricognizione del
Personale e la riorganizzazione dei servizi, delle strutture e delle attività
sulla base delle risorse umane e professionali realmente disponibili.
Riteniamo, per tutto ciò, ancor più inaccettabile che si continuino
oggi a scaricare sulle operatrici e sugli operatori le difficoltà e le criticità già presenti nelle varie Strutture e nei Servizi Socio
Sanitari nonchè il peso di carenze, di contraddizioni, di scelte e di quella
mala gestione che, come Cobas dell’Asl Rm/D, andiamo segnalando
e denunciando sin dal 2008 (anno di
nascita) attraverso atti, documenti ed interventi pubblici.
Peraltro, intervenire per
“affrontare” oggi le suddette criticità, attraverso l’utilizzo della “mobilità
d’urgenza”, come elemento ordinario di organizzazione del lavoro, oltre ad
essere in aperto contrasto e in violazione con le leggi e le normative
contrattuali vigenti, non ha fatto altro che acuire i disagi e le difficoltà
presenti nei vari Servizi.
Mentre le
lavoratrici ed i lavoratori vivono questa condizione, assistiamo al continuo,
strumentale e pretestuoso attacco ai lavoratori del Pubblico Impiego che,
peraltro, vedono i loro
contratti bloccati dal 2009, con una perdita media del potere d’acquisto di
circa 9mila euro dal 2010 al 2014, di cui 3mila solo nell’ultimo anno. Questo
avrà incidenza ed effetti futuri anche sul ricalcolo del sistema pensionistico,
prefigurando un ulteriore impoverimento della popolazione.
Il
distacco tra questa realtà e la propaganda vergognosa del Governo Renzi, che ha
voluto far credere che gli 80 euro sarebbero serviti alla “ripresa” del Paese,
viene sempre con più forza alla luce e si rivela oggi come un inganno e una
beffa.
Questo,
riteniamo, sia purtroppo solo l’inizio di un’ulteriore aggressione che troverà
nella riforma della Pubblica Amministrazione, attraverso i Decreti Attuativi e
nelle norme sul Jobs Act, strumenti di pressione, ricatto, intimidazione,
inasprendo ancor più le minacce di provvedimenti disciplinari, di mobilità selvaggia
e demansionamento, sino a rendere il licenziamento come possibilità ordinaria.
Già da
tempo stiamo assistendo alla trasformazione di quelle che fino a ieri erano
considerate opportunità, diritti e forme di tutela per le persone e per le stesse
famiglie e che, oggi, hanno perso il loro significato e valore originario al
punto da finire per essere considerate e renderle “privilegi” e, a volte, applicate
sulla base di meccanismi e criteri di discrezionalità, con il rischio di
divenire strumenti di ricatto e arbitrio, determinando, in questo modo, una
condizione di sudditanza e sottomissione nei confronti di coloro che ne fanno
legittima richiesta.
Basti pensare allo
strumento del Part time che, peraltro, non comporta alcun onere per l’Azienda o ai congedi parentali per
la L.104/92, con la pretesa di una loro programmazione che
risulta essere contrastante e contraddittoria con i principi della legge
stessa.
Si ricorda che forme di
tutela e di opportunità, come il Part time, in molti paesi europei vengono
incentivate ed incoraggiate, non solo come supporto alle funzioni familiari, ma
come investimento e risorsa umana e sociale.
Questi sono solo alcuni
degli aspetti di quel lento ed inesorabile processo tendente da tempo a
cancellare sempre più diritti e tagliare servizi pubblici già fortemente
penalizzati.
Da dieci anni a questa
parte il lavoro pubblico e la pubblica amministrazione sono stati il
salvadanaio dei vari governi attraverso i tagli a servizi e al personale, al
blocco del rinnovo dei Contratti Pubblici, con ricadute e ripercussioni sulla
contrattazione decentrata ridotta ormai, a colpi di decreti legislativi e
dall’irrilevanza delle risorse economiche finanziarie a disposizione,
all’impotenza, se non all’insignificanza, con il taglio alle nostre
retribuzioni, con il blocco delle progressioni orizzontali e degli avanzamenti
di fascia economica, ecc..
Ci
avviciniamo, dunque, alle prossime elezioni per il rinnovo delle RSU in questo
clima di attacco alle lavoratrici e ai lavoratori e al loro potere di acquisto
e contrattazione.
Come Cobas, insieme a
tutto il Sindacalismo e ai Movimenti di Base, si è cercato di contrastare
questa deriva con iniziative, manifestazioni e scioperi, ma siamo ben
consapevoli, pur nella necessità di tali forme di lotta, dell’insufficienza e
dell’inadeguatezza delle risposte date rispetto ad uno scenario che
richiederebbe la costruzione di un ben più ampio fronte sociale, sindacale e
politico in grado di contrastare quelle politiche che stanno generando malessere,
angoscia, solitudine, insicurezza e inquietudine nel tessuto umano e sociale di
un paese colpito sempre più da ingiustizie e disparità profonde,
disoccupazione, precarizzazione ed emarginazione delle fasce più deboli della
società, private e saccheggiate ormai di ogni tutela e di ogni diritto.
E questo
in una realtà e in un mondo che vedono i ricchi diventare sempre più ricchi e i
poveri sempre più poveri.
Riteniamo
che a ciò abbiano contribuito, e ne portino la responsabilità, anche quelle
forze sindacali “maggiormente rappresentative” Cgil, Cisl e Uil, che nel corso degli anni hanno,
dapprima attraverso accordi contrattuali ridicoli, poi, al di là dei toni e
delle iniziative rituali e di facciata, assistito “inerti” alla cancellazione
di tutte le conquiste realizzate negli anni passati attraverso le lotte delle
lavoratrici e dei lavoratori. (v. art. 18, precarizzazione del lavoro, riforma
del sistema pensionistico, ecc.).
Pratiche, modalità
consociative, se non compromissorie, in un quadro economico, politico, governativo
e padronale che ha finito per trasformarne la vera ragione di esistere e il
loro stesso valore per divenire, a volte, meri carrozzoni consociativi e
autoreferenziali, lontani dai bisogni, dai diritti, dalle condizioni di vita e
di lavoro di coloro che dichiarano di rappresentare: le lavoratrici e i
lavoratori.
Ciò li ha resi incapaci di definire e rappresentare una reale strategia,
una pratica e un progetto credibile in grado d’incidere minimamente
nell’attuale quadro dei rapporti di forza esistenti.
Come Cobas, pur partendo da una critica profonda e
radicale di questo stato di cose, nel rivendicare l’essere ed un agire “Altro”, restiamo convinti che le RSU
rimangono tuttora uno strumento fondamentale di partecipazione, di confronto e
crescita di tutte le lavoratrici ed i lavoratori.
Perché tale strumento
possa essere ancora in grado di rappresentare le idee, le ragioni, i bisogni, i
diritti e le istanze delle lavoratrici e dei lavoratori vi è, però, la necessità
di recuperarne e riaffermarne un ruolo, in modo libero, autonomo ed unitario e una
sua reale capacità e volontà di iniziativa e di rappresentanza e
rappresentatività.
Le resistenze, le inadeguatezze,
se non persino le ambiguità, frutto ed espressione spesso di logiche e di
pratiche di apparati politico/sindacali e/o aziendali, che si sono sempre manifestate,
finendo per limitarne e condizionarne l’azione e l’iniziativa, possono essere maggiormente
arginate e contrastate attraverso la partecipazione ed il protagonismo attivo
delle stesse lavoratrici e dei lavoratori ai quali tale strumento appartiene.
Oggi più che mai per contrastare un’idea ed una
concezione padronale, autoritaria ed autocratica della Cosa Pubblica che vede,
di volta in volta, Funzionari e/o Organismi di Direzione comportarsi ed agire
come dei veri e propri “padroncini”, grazie anche al collateralismo di qualche
settore ed apparato sindacale, è necessario saper intervenire ed interpretare
la complessità della realtà che viviamo quotidianamente, denunciando e
respingendo ogni pratica e modalità consociativa, spartitoria, clientelare,
ricattatoria e quelle “trattative occulte” che spesso si praticano, mosse solo
a difesa di qualche spicchio di potere e/o di interesse (v. Incarichi, Posizioni
Organizzative, Trasferimenti, ecc.).
Con questo spirito, come Cobas dell’Asl Rm/D, senza
indulgere in semplificazioni e in facili ed inutili giudizi elogiativi, riteniamo che il tentativo portato avanti
nell’ultimo anno dalla RSU sia stato, pur con tutti i limiti e le difficoltà,
un primo fatto positivo e possa essere considerato l’inizio di un percorso e di
un processo democratico e partecipativo,
che dovrà essere ulteriormente sviluppato e rafforzato. In tale processo siamo stati e ci sentiremo sempre
impegnati, cercando di lavorare per quella necessaria ricomposizione sociale
che va dal mondo del lavoro e non, alle Realtà e ai Movimenti del Territorio,
per realizzare quell’idea di Comunità di uomini e donne che, autonomamente e
liberamente si batte per affermare i propri diritti e le proprie aspirazioni.
Ed è anche nello spirito di questo percorso che abbiamo scelto di
inserire nelle nostre liste candidati indipendenti, quindi non necessariamente
iscritti alla nostra Organizzazione Sindacale, ma che sentono di condividere
con noi il senso e la ragione di un essere e di un agire sindacale “Altro”.
Come
Cobas dell’Asl Rm/D, ribadiamo la nostra volontà di impegnarci, al di fuori di
qualsiasi opportunità e compatibilità politico/sindacale/aziendale, per
costruire e favorire la crescita e lo sviluppo di una reale, libera ed autonoma
rappresentanza delle lavoratrici e dei lavoratori tutte/i e per cercare di
costruire un altro modello sociale, culturale e politico di relazioni tra le
persone.
Il
nostro agire non ha mai voluto essere, e mai lo sarà, espressione di una
“delega”, ma impegno, passione e ragionamento costante e quotidiano, per
cercare di realizzare insieme a tante e tanti altre/i processi e percorsi di
democrazia partecipata e per ripensare e ridisegnare, non solo l’organizzazione
del lavoro, ma l’intero sistema di relazioni umane e sociali, i tempi ed i modi
stessi della vita delle persone, per una diversa qualità del vivere.
Cobas Asl Rm/D
Febbraio/Marzo 2015
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